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Riassumendo

25/04/2010

Gianfranco Fini ingaggia una lotta per la vita contro Silvio Berlusconi, innescando una crisi della maggioranza dagli esiti imprevedibili. La prima, autentica, profonda crisi di questa maggioranza dalle elezioni del 2008 a oggi. Le reazioni del principale partito di opposizione sono le seguenti:

  1. Il senatore veltroniano Giorgio Tonini, giusto nel giorno in cui Fini va allo scontro con Berlusconi sul tema del dissenso e della democrazia interna nel Pdl, scrive un lungo articolo sul Foglio per sostenere che bisogna dare più poteri al presidente del Consiglio e ai capi partito in generale (linea dell’asse Berlusconi-Veltroni per le riforme, secondo lo “spirito del Lingotto”).
  2. Segretario e vicesegretario, Pierluigi Bersani ed Enrico Letta, dichiarano da subito e ripetutamente la loro preoccupazione che la maggioranza, per occuparsi dei suoi problemi interni, non pensi a governare il paese (linea Bossi: Fini fa solo perdere tempo e impedisce di governare).
  3. Il capogruppo alla Camera, Dario Franceschini, telefona a Fini per raccomandargli di “tenere duro sul bipolarismo” (linea Quagliariello).
  4. Bersani torna a intervenire sull’argomento per proporre pubblicamente a Fini un patto per contrastare il governo (linea lo-vedete-che-c’ha-ragione-Feltri).

Nel caso qualcun altro all’interno della maggioranza berlusconiana dovesse mai sognarsi di tornare a mettere in discussione le decisioni del capo, può considerarsi avvertito. Sappia dunque questo ipotetico, infingardo nemico del bipolarismo e della governabilità, questo vile burocrate di partito che immaginasse sporche manovre di corrente e di palazzo, che se anche dovesse sopravvivere alla campagna denigratoria di giornali e televisioni controllati dal presidente del Consiglio, se anche dovesse superare indenne le pressioni, le minacce e le richieste di epurazione contro chiunque prenda anche solo un caffè con lui, sappia costui, e tenga bene a mente, che avrà comunque poco da illudersi, perché dovrà vedersela con i dirigenti del Pd.

***

Va bene, direte voi, le prime mosse del Pd forse non sono state particolarmente astute. Ma cosa dovrebbe fare, allora? Ebbene, premesso che anche non fare niente sarebbe comunque un’opzione di gran lunga preferibile a questo casino, io la metterei così. Quello che sta accadendo dimostra che il sistema attuale non regge. Non regge, cioè, la concezione “presidenzialista-plebiscitaria” della politica, tanto sul piano istituzionale quanto sul piano dell’organizzazione interna dei partiti. Lo so, in fondo è quello che ha detto Bersani, e sono d’accordo con lui. Ma allora bisogna essere conseguenti, non si può giocare ancora alle tre carte del no al plebiscitarismo, ma sì al bipolarismo; no alla legge elettorale attuale, ma sì al Mattarellum; sì al “partito della Costituzione e di una nuova unità nazionale”, ma sì pure al partito dell’incendio e dello scasso della Costituzione e dell’unità nazionale. Quello che sta accadendo è l’ennesima e definitiva dimostrazione dell’impossibilità di un sistema “a vocazione presidenziale” per il nostro paese, in cui nemmeno un leader con le gigantesche risorse extra-politiche e il consenso di cui gode Berlusconi è in grado di uscire dal circolo vizioso che ci fa oscillare costantemente tra paralisi e radicalizzazione, accentramento del potere e spinte centrifughe che tornano a paralizzare il sistema, richiesta di ancora maggiori poteri al centro e ulteriore radicalizzazione delle spinte contrarie, tanto nell’opposizione quanto nella maggioranza, con conseguenti nuove scissioni (Bossi, Dini, Follini, Casini, Fini…), e così via per i secoli dei secoli, fino a quando non si smantellerà questo folle sistema fondato sul premio di maggioranza, che obbliga alle “coalizioni coatte” e altera alla base tutti gli equilibri e i contrappesi costituzionalmente previsti.

Il punto è che le cose stanno esattamente al contrario di come ce le raccontano la maggior parte dei giornali e degli intellettuali progressisti, e di come lo stesso Partito democratico le ha presentate sin qui. E’ il maggioritario che impedisce di riformare davvero la Costituzione e di porre le basi per un sistema più efficiente e meno farraginoso. E’ il premio di maggioranza, unito alla pericolosissima finzione dell’elezione diretta, con il nome del candidato premier surrettiziamente inserito nella scheda elettorale, a rendere semplicemente impensabile la modifica dei vari contrappesi al potere del presidente del Consiglio e della maggioranza attualmente previsti.

Insomma, la divisione non è (o comunque non dovrebbe essere) tra chi vuole “tornare indietro” e chi vuole “andare avanti”. Il punto è che da oltre quindici anni siamo in un vicolo cieco: o si fa marcia indietro, proprio per potere riprendere il cammino e andare avanti, oppure si insiste a lanciare la macchina contro il muro, sperando che sia il muro a crollare. E senza preoccuparsi troppo del fatto che alla fine dei conti, se anche crollasse, crollerebbe comunque in testa a noi.

Io, sinceramente, sono un po’ preoccupato.

7 commenti leave one →
  1. 26/04/2010 17:45

    La tua diagnosi e’ abbastanza chiara Francesco. Hai una proposta di terapia? Come te lo immagini uno scenario che potrebbe funzionare, diciamo a Cav. morto?

    • francesco cundari permalink
      26/04/2010 18:10

      non credo sia utile ragionare “come se berlusconi non ci fosse”. Il primo passo, precondizione per sbloccare il sistema e poter fare qualsiasi cosa, secondo me, dovrebbe essere quello che ho detto qui sopra: cancellare il premio di maggioranza. poi, certo, bisognerebbe fare tante altre cose, e pure discutere meglio del perché e del per come il premio di maggioranza sia il cuore del problema, ma ci sarà tempo per farlo (temo anche troppo)

  2. 27/04/2010 09:40

    Posso chiederti su che basi sei convinto del fatto che se invece di Berlusconi a Palazzo Chigi ci fosse qualcuno capace di governare, con la stessa maggioranza parlamentare, comunque non si caverebbe niente?
    Non e’ che siamo divisi fra una persona capace di vincere le elezioni ma non di governare (non e’ il suo mestiere), e altri che sarebbero capaci di governare ma non di vincere le elezioni (evidentemente non e’ il loro mestiere), e che quando riescono a pareggiarle lo fanno a costo di alleanze che ne pregiudicano le capacita’?

    Se dai la stessa maggioranza a Bersani, o a Fini, o perfino a Casini non credi che sarebbero in grado di combinarci qualcosa?

    E se e’ cosi’, il problema non e’ nel sistema, ma in una figura talmente capace di vincere le elezioni prima che impedisce a chi ne sarebbe capace di provare a governare dopo.

  3. 27/04/2010 21:18

    Dissento da Stefano “il diverso”. Il problema non e’ della persona che vince le elezioni. Mi si faccia l’esempio in passato di premier “capaci di governare”. Fini e Bersani e Casini non solo non sarebbero in grado di fare una riforma istituzionale, ma neanche una finanziaria. Il problema e’ nel carattere degli italiani. Sperare nella missione salvifica di un premier con larga maggioranza e’ utopico quanto dannoso.

  4. EsseA permalink
    28/04/2010 10:16

    Il punto e’ che solo Berlusconi e’ stato in grado di conquistarsi una maggioranza che gli avrebbe permesso di governare.
    Nella Seconda Repubblica nessun altro premier ha potuto contare su una coalizione altrettanto omogenea e su una maggioranza parlamentare talmente schiacciante: gli altri premier hanno governato con maggioranze eterogenee e che stavano insieme con lo sputo, e in quelle condizioni e’ ben difficile giudicarli.

  5. Simone permalink
    28/04/2010 10:53

    Non ho le tue stesse certezze, perchè il sistema proporzionale precedente al maggioritario non ha prodotto nei suoi ultimi 10 anni nessuna capacità di riforma, nè concordia nazionale, nè coesione nelle coalizioni, variegate e non meno litigiose di quelle scaturite con il maggioritario.
    Vogliamo ricordare il pentapartito?
    Vedo pure io che Berlusconi, nonostante una maggioranza di ferro, non sa governare; così come Prodi non ha saputo (potuto?) dare una direzione alla sua risicata maggioranza sottoposta ogni giorno a ricatti.
    Temo che in Italia nessuna formula istituzionale riuscirà ad obbligare i partiti a prendersi la responsabilità che compete loro.

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