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Fanga e lustrini

20/04/2009

La settimana che è appena passata mi ha dato parecchio da pensare. Nel giro di tre giorni ho partecipato a tre iniziative molto diverse: un confronto radiofonico con il professor Giovanni Guzzetta a proposito di referendum, bipartitismo e democrazia (giovedì); un dibattito nella sezione del Pd di Casal Bruciato con Antonio Sofi e Diego Bianchi – in arte Zoro – su partito, sezioni e democrazia interna (venerdì); una specie di festa, riunione, assemblea della prestigiosa Fondazione Daje (sabato sera). L’impressione che me ne resta è di avere parlato sempre delle stesse cose, in fondo. E non solo perché ovunque vada e con chiunque mi trovi a discutere, effettivamente, dico sempre le stesse cose. In un certo senso, è come se avessi ripercorso in tre giorni un’intera epoca, cominciata con i referendum degli anni Novanta e finita (spero) con le sezioni del Pd che si domandano cosa ci stiano a fare, se i vertici a tutti i livelli li scelgono gli elettori con le primarie, se gli organismi dirigenti li nomina il capo eletto dalle primarie, se la linea politica la decide a suo insindacabile giudizio il suddetto capo, segretario o imperatore che dir si voglia, e se persino i candidati della base, della società civile o del rinnovamento li sceglie sempre lui. E se in tutte queste scelte le uniche voci a essere ascoltate, con fin troppo deferente attenzione, sono quelle di chi scrive sui giornali, li dirige o li pubblica. Come stupirsi allora se quel che resta del popolo che un tempo si ritrovava nelle sezioni, dove bene o male resisteva comunque una diversa concezione della politica (e anche una diversa pratica, sia pure con sempre maggiori concessioni allo spirito del tempo), si identifica oggi in Zoro, in questo singolare “giovane quarantenne” e nel suo singolarissimo paradosso: una rievocazione nostalgica del vecchio Partito comunista e delle sue vecchie sezioni, attraverso video che circolano su YouTube, blog e talk show.

“Io non sono una persona di sinistra”, ha detto Guzzetta verso la fine del nostro dibattito alla radio. “Posso dire che si era capito?”, ho aggiunto io. Ma al massimo poteva essere un auspicio, il mio. Perché alla fine l’origine di tutti i nostri mali, a sinistra, per me sta proprio lì: nell’infatuazione per il “modello americano” e per il bipartitismo, che in Italia si traduce in partiti ridotti a cartelli elettorali senza senso, pura funzione del leader. Un leader, per di più, scelto sempre da altri. Una sorta di democrazia diretta che porta direttamente al berlusconismo e al suo attuale trionfo, sulle macerie di una sinistra senza più casa, senza più un luogo in cui si parli ancora la sua lingua, e da dove si possa in qualche modo ricominciare. Io credo che il successo di Zoro e della sua curiosa ostalgie telematica, al fondo, nasca da qui. Dalla diaspora di un popolo perseguitato dai suoi stessi capi, intellettuali di riferimento e compagni di strada, che in lui torna se non altro a sentire, almeno per scherzo, l’eco lontana di un antico lessico famigliare. E’ un rito, goliardico e liberatorio, che forse serve soltanto a esorcizzare un futuro senza senso, senza parole, senza niente. Un carnevale della nostalgia, dopo troppi inutili e tragicamente seri camuffamenti.

Eppure è proprio ascoltando i militanti di una sezione del Pd che venerdì sera ho visto con stupore come ancora oggi, nonostante tutto, qualcosa resista. Nonostante un diluvio di fregnacce che dura da oltre quindici anni, qualcosa si è salvato. E io penso che quei militanti il problema del loro ruolo e della loro identità se lo risolveranno da soli. E’ quello che ho cercato di dire in sezione: chi siano e cosa vogliano saranno loro a deciderlo, ognuno di loro, senza bisogno che glielo spieghi né il segretario, né il giornalista, né la “coscienza critica” di turno. E l’unica battaglia che valga la pena di combattere è quella per riprendersi questo potere, dentro i partiti e fuori. Qualcuno ha commentato che se Zoro era la “coscienza critica”, io ero la “coscienza depressa” della sinistra, ma non è vero. Non sono un pessimista. Credo anzi che la strada sia aperta e non ci voglia neanche moltissimo a riprenderla, persino a queste tristissime elezioni europee, per uscire dalla tenaglia tra chi sogna un partito in cui tutti i dirigenti li scelgono quattro persone, calando sul tavolo pacchetti di tessere come a una partita di poker, e chi ha pensato di fare le primarie persino per i direttivi di sezione; tra chi dice primarie  sempre e chi dice primarie mai; tra chi pensa di risolvere tutti i problemi espellendo Paola Binetti e chi pensa di risolverli consegnandole in ostaggio un intero partito, con l’incredibile trovata della “posizione prevalente” (che non prevale mai, peraltro). Basterebbe anche un solo candidato, uno solo, che queste cose le dicesse, che non sentisse il bisogno di camuffarsi né di nascondersi nei luoghi comuni, che non venisse dal club degli artisti disoccupati o dal sindacato dei figli di papà, e che parlasse chiaro. Non importa se giovane o vecchio, simpatico o supponente, brillante o impacciato. Basterebbe qualcuno che fosse capace di parlare la sua lingua. Qualcuno che fosse possibile riconoscere, per una volta. E che questa battaglia promettesse di darla. Basterebbe pochissimo, perché ci fosse almeno una possibilità. E sapete la novità? Se tanto mi dà tanto, io dico che c’è.

5 commenti leave one →
  1. 20/04/2009 18:06

    beh, riconoscerlo non è male …

  2. Edoardo permalink
    21/04/2009 18:05

    E se i militanti del PD, come spesso mi è capitato di pensare negli ultimi tempi, non avessero LORO questa capacità di rinnovamento?
    Questi tempi, politicamente avari di coraggio e intraprendenza, hanno prodotto 2 categorie di quadri: (i) veri idealisti senza progetti; (ii) scafati poiliticanti con un progetto che non riesce ad andare oltre alla mera autopromozione di sè.
    Naturalmente generalizzo e, nel farlo, mi rendo odioso. Ma io, a questa base, non ci credo più. Il problema del leader ha radici profonde, e la militanza è una di queste.
    Se per te non è un problema, faccio io le veci della “coscienza depressa” di turno.

  3. 22/04/2009 21:34

    Il Partito Democratico che ha buone idee, che non litiga e si confronta, che elegge i propri rappresentanti democraticamente esiste e sta nei circoli, sono gli iscritti. Soprattutto nei medio-piccoli comuni, loro vincono le elezioni, anche nel profondo nord, governano e vengono riconfermati, nonostante il PD e i suoi dirigenti nazionali. Credo che sia proprio per paura che la base rinnovi la politica e gli organigrammi del PD che tutto viene deciso dal vertice e i circoli non vengono MAI interpellati su nulla che riguardi il nazionale. Si chiama democratico ma di democrazia se ne vede poca.

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